“Plunge into the eerie fluid of the new progressive metal-core”: mio personale riadattamento d’uno spot ben noto ai metallers d’annata che così recitava nel 1993 con la sola differenza di includere il termine death metal. I Mind Control di Pescara, già pluri-incensati da autorevoli riviste giornalistiche del settore per la loro nuova uscita “Elements” nel momento in cui scrivo, si muovono con altissima maestria in un territorio sonoro che affaccia le proprie gittate di plasma creativo al di fuori del semplice e riduttivo schema metal-core, venandosi di progressive e a tratti di sperimentazione elettronica e sfumature djent. Il full lenght è un autentico assalto all’arma bianca con una dichiarazione di intenti che non tarda a palesarsi. Chiariamo subito un concetto: i Mind Control si distinguono tra milioni di altre bands cloni per una serie di caratteristiche che ne delineano l’unicità. Se così non fosse saremmo di fronte all’ennesima formazione perfetta nell’esecuzione, ma sterilmente orfana d’ogni contenuto in note. Peraltro nel bel mezzo di una pletora di proposte musicali che di grosso hanno solo l’autocelebrazione (a buon intenditor…). Invece il primissimo punto di forza del combo pescarese è la partitura: la musica scritta e creata è di enorme peso artistico, il pentagramma per l’appunto non mostra segni di debolezza né di cedimento del tono mentale durante il dipanarsi di tutto l’album. I prodotti di tali mentalizzazioni paranoidi risiedono nella potenza evocativa delle armonie e dei chords, nelle splendide trovate melodiche, nella poliritmia a tratti ossessiva, finanche nella ricerca dei suoni di chitarra, basso e pad di tastiera a completare un’atmosfera terrifica da pre- e post-apocalisse. Altro punta di diamante della band è senza dubbio la cura maniacale dei particolari, figlia anch’essa d’una lavorazione lunga e ponderata, a volte forzatamente interrotta. La sensazione uditiva che questo produce è inevitabile: nulla è affidato al caso in questo lavoro, dalla stesura alla realizzazione, fino al missaggio che merita anch’esso una nota di plauso. Mattatrice autentica è la vocalist, Stefania Salladini, il cui screaming ultra-efficace, annichilente e scarnificatore si tinge, a proprio comando, di colori decisamente più deep e growleggianti. Unica e dotata di personalità inalienabile, Stefania si mostra totalmente a proprio agio e ben consapevole delle proprie doti vocali anche nelle sue digressioni clean decisamente ispirate. Chirurgica e killer la rhythm section composta dal drummer Luca Nicolucci e dal bassista Stefano Tatasciore. Le cellularità ritmiche, di cui si è già detto, danno un contributo di enorme peso allo spessore delle composizioni. Raffinato, potente, ispirato il guitar work dell’ascia Massimo Boffa. Il nostro non lesina territori di sperimentazione chitarristica parossistica ed amabilmente si spinge spesso oltre. Nessun membro della band teme paragoni scomodi con colleghi d’altre lande, anzi. Un degno modo di concludere? Direi che i Mind Control hanno un’ulteriore freccia letale al proprio arco: la loro salvifica mancanza di paura. Questi ragazzi, come anche dissi altrove e di recente, non hanno affatto paura di scrivere una pagina di enorme peso artistico. Entrando dalla porta principale e con tutto ciò che questo comporta. Post scriptum: sappiate che i brani “Rage” e “Hurricane” si vestono già di autentici inni alla sonorità in oggetto. “Albo signanda lapillo” e lunga, prolifica vita ai Mind Control. Ora godiamoci la grande Musica.
Sperimentalmente Vostro,
Marco “Mark Joyce” Di Matteo